mondi comunicativi possibili

Buongiorno. Questo è il segno con il quale le persone sorde si salutano. Come avete avuto occasione di vedere è un segno composto: rappresenta il sole che si apre all’orizzonte. E’ unnuovo giorno. Speriamo che anche questo dibattito serva ad aprire la speranza di un nuovo giorno per le persone-bambini diversamente abili.

Ci sono molti modi per comunicare, ma non può esistere tragedia più grande che non poter comunicare. Molti bambini nascono però con l’impossibilità di farlo e noi siamo qui riuniti per porci una serie di domande e per interrogarci su come realizzare questo sogno di liberazione…

La domanda preliminare alla quale da sempre la comunità scientifica ha cercato di rispondere è la seguente: “Lo sviluppo della mente umana è geneticamente determinato negli individui o è favorito da una serie di influenze ambientali che stimolano e facilitano l’accrescersi della rete neurale?”

Se noi siamo qui oggi è soltanto perché crediamo fermamente, tutti, che sia possibile influenzare con l’ambiente ogni tipo di sviluppo geneticamente predeterminato.

 

Di definizioni dell’intelligenza sono piene i trattati, ne adottiamo una che sembra proprio poter fare al caso nostro: “L’intelligenza è la capacità di selezionare per andare nella direzione giusta, con pochissima ricerca e senza dover provare tutte le strade possibili, attraverso la conoscenza e la capacità di discernimento” (Erbert Simon). Un’altra domanda alla quale noi stiamo cercando di rispondere è quindi proprio questa: “Noi possiamo favorire lo sviluppo dell’intelligenza anche in quei soggetti i cui limiti cognitivi o espressivi sono molto evidenti? E se sì, in che modo?”

 

La ricerca che noi abbiamo compiuto nella nostra scuola è stata proprio quella di lavorare per costruire in tutti i bambini, in tutti i ragazzi, questa capacità, cogliendo anzitutto le potenzialità reali, senza fossilizzarci a cercare di sviluppare solo le due intelligenze che spesso sintetizzano i comuni percorsi scolastici dei ragazzi italiani: l’intelligenza linguistica e quella logico-matematica.

Il lavoro è stato, sostanzialmente, centrato sul concetto di scaffolding: costruire intorno ad ogni soggetto un percorso mirato costituito di una variegata opportunità di risorse di apprendimento, di tecniche, di  situazioni interpersonali, in modo che questi potesse trovare intorno a sé il clima sociale migliore e una complessità di  strumenti  per procedere autonomamente verso la costruzione dei saperi.

Il metodo che abbiamo seguito per progettare percorsi mirati è incentrato sulla R/A. La ricerca-azione presuppone anzitutto un’osservazione e una valutazione sistematica che non può essere confusa con l’analisi quantitativa.

Perché si parla di osservare e soprattutto di farlo in modo sistematico?

     L’approccio processuale e sistemico si fonda sulla consapevolezza che non esistono due individui identici e non ci si può più riferire ad un modello unico di intelligenza.

      La teoria delle intelligenze multiple (Gardner), che noi abbiamo adottato, si basa sulla conoscenza di diversi modi di funzionare della mente e sui diversi stili di esplorazione della realtà da parte dei diversi individui.

 

Un’osservazione sistematica poi non si affida ad una semplice rilevazione di dati percettivi, ma risponde ai seguenti requisiti di scientificità:

  • serve ad uno specifico scopo;
  • è programmata sistematicamente;
  • è registrata sistematicamente;
  • è soggetta a prove di verifica e di controllo

 

Come paradigma di riferimento – dicevamo –  ci siamo affidati a Gardner, uno psicologo americano che ha  individuato non una sola intelligenza ma: “competenze intellettuali umane relativamente autonome”,  ciascuna delle quali, secondo i suoi studi pluriennali, dipende da una diversa parte del cervello.

Si tratta, prima di intervenire, di scoprire con sempre minore approssimazione come funzionano le diverse intelligenze presenti nei diversi individui, negli alunni tradizionalmente abili, come in quelli diversamente abili.

Finora gli scienziati (psicolinguisti, psicologi, fisiologi, ecc) non hanno saputo dare risposte alla progressione del linguaggio nei soggetti diversamente abili, cadendo talvolta nel terribile equivoco che il non parlare coincidesse con il non capire, il non avere padronanza dei pensieri, non saper mettere ordine tra i sentimenti, in pratica contribuendo a rinforzare lo stereotipo che chi non ha padronanza del linguaggio non ha nemmeno la capacità di costruire concetti e soprattutto concetti elaborati.

           

Gerry T. M. Altmann  nel suo ultimo libro:“La scalata di Babele”, ha cercato di mettere ordine nella conoscenza di come si conquista la conoscenza linguistica, scrivendo: “Nel linguaggio, praticamente qualsiasi cosa può non andare il verso giusto. La gamma dei disturbi è vasta e spesso, soprattutto in seguito a una lesione cerebrale, il linguaggio non è l’unica facoltà che subisce danni. É facile descrivere clinicamente, con distacco, la natura di queste menomazioni: ma immaginate di svegliarvi un giorno e di scoprire che è successo a voi. Oppure immaginate di rimanere indietro a scuola perché non riuscite a prendere appunti o non capite l’insegnante, o non siete in grado di esprimervi in maniera adeguata. Immaginate che vostro figlio debba crescere in questo modo. Chi non soffre di disturbi di questo tipo non può immaginare che effetto deve fare udire le persone parlare ma non riuscire a capirle, oppure sapere cosa si vuole dire ma non essere capaci di dirlo…”

 

Mi è capitato, tanto tempo fa, ad un convegno tenuto a San Casciano dall’associazione A.B.C. Cri du chat, di scontrarmi con il mio stesso pregiudizio. Ho incontrato una ragazza grande tra gli ospiti, che con evidenza mostrava i segni della sua disabilità e i trascorsi di una vita percorsa senza comunicazione: aveva bisogno di essere imboccata per mangiare, deambulava a fatica; non era in grado di coordinare i suoi occhi su un unico oggetto; non si fermava a rispondere a nessuna sollecitazione, stimolo, domanda; non vocalizzava alcun suono; era chiusa in un impenetrabile silenzio. Non credevo a quello che raccontava di lei la sua Tata, una ex farmacista che aveva lasciato il suo lavoro per dedicarsi a lei, a quella ragazza che era stata abbandonata addirittura dai suoi familiari perché “per lei non c’era niente da fare” e che con ostinazione invece  si era dedicata ad insegnarle, all’età di trentacinque anni, a scrivere. Non possedeva coordinazione motoria, non aveva coordinazione oculo- manuale, come credere che avesse prodotto le poesie e i brani che facevano bella mostra nella bacheca del convegno? Ne discutemmo a lungo con una mia amica, la professoressa Pedrinazzi, la quale, più determinata di me, l’indomani chiese alla tata di poter vedere la ragazza all’opera. E lei cominciò a scrivere, con mano tremante, senza di fatto mai gettare lo sguardo su quella pagina, su un foglio che ancora conservo:

 

 

 

TEMA(Marta)                                                                                                  Sabato 24 gennaio 2000

“Cronaca di un’ingiustizia”

Era, dicevo, un’ingiustizia ricevuta da me, ma raccontata da mia madre. Quando andavo alle elementari ho ricevuto un’ingiustizia quando non mi facevano scrivere. Loro dicevano che io non

capivo, dicevano che mi credevo intelligente, che non avevo il senso della realtà.”

Quel messaggio era un grido, come una denuncia della nostra ingiusta incredulità…

 

Da allora tutte le strade percorse sono andate  alla ricerca delle strategie giuste  per entrare in questi mondi sconosciuti, per conoscere sempre con minore approssimazione cosa ci fosse dietro l’apparente incomunicabilità, dietro a quel muro….

 

Piano piano ci siamo accostati al mondo della comunicazione mediata con il computer e sono emerse parole, pensieri, vissuti insospettabili che sopravvivono in questi ragazzi lasciati troppo spesso da soli a soffrire dei loro tormenti, senza potersi mai davvero esprimere compiutamente, perché non viene loro offerta alcuna possibilità.

 

 

 

CARLOTTA 18/2/2000
(Ragazza autistica con diagnosi di atrofia corticale alla risonanza magnetica cerebrale)


“Scrivi ad un amico e confidagli alcune tue esperienze, che hanno lasciato un segno nella tua vita.” Voglio scrivere a Demetrio:

“Ciao Demetrio, sono Carlotta. Ti ricordi di me? Anni passati di scuola insieme, forte del tuo aiuto, tu sempre affettuoso verso di me.

Dove sei? Cosa fai? Mi piace vedere che ti ricordi di esperienze nostre, che non dimentico, perché tu sei stato grande amico. Quando Carlotta ha visto parole scritte, ha capito di parlare con senso. Tutto poteva ripartire come treno carico di ricco pensiero per altri.

Dire parole su fogli bianchi che segnano attimi di tempo che passa. Io posso entrare e muovermi in luoghi di altre persone, perché ci sono; sono presente con volontà di parola.
Prima il mondo di voci amiche era distante, staccato dai miei confini di ragazza senza contatti. Hai mai visto nuvole volare senza fili da prendere?

Persona vagante rubavo parole da comprendere su bocca di altri. Poi finalmente qualcuno di grande coraggio ha raccolto fili con decisione, calma difficile; di legare suoni e portare fuori dalla mente immagini pensate.

Quello è stato un giorno di forte sensazione: ansia, paura di non riuscire ad entrare (gelata) nei movimenti.

Prova Carlotta, ancora, perché adesso c’è calda emozione di provare e …che meraviglia! le parole funzionano senza fili!

Le persone sono vere, mi guardano dentro, attraverso me; oltre i finti vestiti di educati atteggiamenti.
Demetrio sei stato tu con me ragazzo debole, vicino alla mia debolezza, ma grande nel tuo bene verso di me, senza domande o dubbi di agire con particolare attenzione.
Carlotta ti ha visto capace di vedere la mia difficile situazione ed io lo voluto diventare una ragazza che può aiutare a dare un’utile presenza agli altri.

Io posso essere un’utile presenza per te, un tuo aiuto prezioso, segno per me di un importante amico.
Posso scriverti tutto quello che penso e fallo anche tu. Adesso ti saluto e spero di vederti . Carlotta.”


Ecco, questi pensieri, queste emozioni, raccontano di mondi sconosciuti e insormontabili, di pianeti diversi in cui vivono, chiusi come dietro ad un muro impenetrabile, personalità cognitive ed emotive insospettabili. Noi non possiamo rimanere indifferenti.

 

Secondo la concezione classica, i due emisferi cerebrali avrebbero funzioni fisse che si escludono a vicenda: linguistico/non linguistico, sequenziale/simultaneo, analitico/gestaltico, sono solo alcune delle dicotomie descritte.

Goldberg ha invece esteso il dominio del «linguaggio» a quello di un «sistema descrittivo» in generale, al pari però di molti altri: per esempio i linguaggi matematici formali, la notazione musicale, i giochi, in quanto tutti i relativi codici  possiedono una codificazione specifica. Tutti questi codici sono caratterizzati dal fatto che in un primo tempo vengono acquisiti per tentativi ed errori, ma in seguito, nei casi normali,  raggiungono una perfezione automatica. Noi sappiamo che  per affrontare ogni compito cognitivo, si possono seguire due modalitá, due « strategie » cerebrali, con la possibilità di passare dall’una all’altra, acquistandone la relativa competenza. Secondo questa concezione, l’emisfero destro ha un ruolo essenziale quando si deve affrontare una situazione nuova, per la quale non esista ancora alcun sistema descrittivo, o codice, stabilito; inoltre esso interviene anche nell’assemblaggio di tali codici. Una volta che uno di tali codici é stato costruito, avviene un trasferimento come funzionalità all’emisfero sinistro, che è quello  che in realtà controlla tutti i processi che sono organizzati nei  codici.

Questa concezione é molto diversa dalle teorie classiche che assegnano agli emisferi specificità fisse; ma é anche quella che ci permette di capire il ruolo dell’esperienza nell’individuo e il suo sviluppo, dai primi impacciati tentativi nell’affrontare un qualsiasi compito cognitivo, fino all’acquisizione della vera e propria competenza.

Non esiste un’area dedicata, ma zone cerebrali che si influenzano reciprocamente. Per questo preferiamo accogliere la teoria di Gardner che integra la teoria della mente modulare (Fodor),  a quella sviluppata dagli evoluzionisti. Gardner ci parla di intelligenze multiple, una teoria che ci aiuta a comprendere meglio come sia possibile, a dispetto di quanto afferma Piaget, che anche un soggetto che presenta evidenti limitazioni in una o più aree, sia in grado di sviluppare una serie di competenze complesse e molto evolute. Competenze che spesso però restano nascoste e ignorate da tutti, fino a quando quello stesso soggetto non viene messo in condizione di esprimerle.

Gardner dimostra che ci sono almeno otto  forme di intelligenze: oltre a quella linguistica ed a  quella logica, che sono quelle più note e monitorate, c’è un’intelligenza  musicale, che appartiene a tutti coloro che sanno usare questo codice come linguaggio, esiste poi una vera e propria  intelligenza  spaziale, che consiste nell’abilità di valutare gli ampi spazi come sanno fare un pilota o un navigatore, o gli spazi locali, come farebbero uno scultore, un architetto o un giocatore di scacchi; c’è anche l’intelligenza cinestetica/corporea, che è l’intelligenza del ballerino, dell’atleta, dell’artigiano, dell’attore; sono poi fondamentali due tipi di intelligenza personale, l’intelligenza interpersonale, che consiste nella comprensione delle altre persone: come esse lavorano, come motivarle, come andare d’accordo con loro e l’intelligenza intrapersonale, che consiste nella comprensione di se stessi, di chi si è, di cosa si cerca di raggiungere; esiste infine una vera e propria’ “intelligenza naturalistica“ che consiste nella capacità di riconoscere diversi oggetti nella natura: esseri viventi, piante, animali, e anche le rocce, o le nuvole o tipi diversi di tempo; ed ancora l’altra, una nona intelligenza, sulla quale la sua ricerca si sta ancora cimentando, che è quella: “esistenziale”, che mette in grado l’uomo di dare risposte ai grandi temi della vita.

In ogni persona questi percorsi della mente